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Una regale Isabelle Huppert incanta tutti con ‘Mary Said What She Said’. Al Teatro della Pergola

mary said what she said
Ph Lucie Jansch

Mary Said What She Said di Darryl Pinckney (traduzione dall’inglese Fabrice Scott), la regia di Robert Wilson (ha curato anche luci e scene, co-regia di Charles Chemin) e un’incantevole Isabelle Huppert è stato presentato in esclusiva per l’Italia al Teatro della Pergola di Firenze. Al centro “la vita e i tormenti, tra gloria, prigione e omicidi, della Regina che ha combattuto le forze della storia per controllare il suo destino.
Maria Stuarda nasce nel 1542 e diventa regina di Scozia quando ha soltanto sei giorni. Cresce in esilio, alla corte francese, perché sposa del Delfino di Francia che muore soltanto un anno dopo il Re, suo padre. Nel 1561, Maria è quindi una regina vedova senza figli, diciannovenne, e decide di ritornare in Scozia. Sette anni e due matrimoni dopo, Maria è di nuovo in fuga dal regno di cui è regina: una sovrana cattolica scacciata dai suoi stessi signori nobili che sono protestanti. Ha cercato rifugio in Inghilterra, dove si aspetta l’aiuto di un’altra regina segnata dalla Storia, Elizabeth Tudor. Invece, la diffidente Elisabetta imprigiona Maria Stuarda, questa sua cugina che lei vede più giovane e più bella. Maria Stuarda è stata, infatti, anche l’erede al trono inglese. Elisabetta si convince infine che Maria faccia parte di un complotto cattolico per assassinarla, anche se soffre nel vedere Maria Stuarda processata in estate e condannata a morire già in inverno” (dalla nota di presentazione).

Mary Said What She Said: recensione

Le note composte ad hoc da Ludovico Einaudi sono degne dell’apparizione di una regina. Al piano si aggiunge con sinuosità un’architettura di archi, nasce un loop che entra nella testa e si interseca perfettamente con la musicalità delle parole e il suono del silenzio. Un tema epico ed emozionale che con variazioni studiate al millimetro dà il là all’urlo dell’anima di una donna, prima ancora che sovrana. Parallelamente si intersecano voci di bambini in lontananza.
“La mer ne m’est pas étrangère, je l’ai sentie, je l’ai vue, je l’ai goûtée. J’ai même été sauvée par la mer. Mais la seule eau salée qui ait jamais lavé mes perles ou mes mains, où qu’elles soient maintenant, venait de mes propres yeux” (Il mare non mi è estraneo, l’ho sentito, l’ho visto, l’ho assaggiato. Sono stata salvata anche dal mare. Ma l’unica acqua salata che abbia mai lavato le mie perle o le mie mani, ovunque siano ora, veniva dai miei occhi). Ed è proprio il mare che viene evocato grazie all’inconfondibile lavoro di luci di Wilson, passandosi la palla con l’immagine del cielo. Esattamente al centro del palco si staglia Maria Stuarda (incarnata con raffinatezza dalla Huppert, per la quale un solo aggettivo sarebbe riduttivo), è di spalle, dritta e altezzosa, con le braccia rigide sui fianchi. Volutamente il suo volto non è ancora illuminato in maniera nitida. Lo spettatore è invitato a mettere a fuoco colei che ha davanti, al di là di ciò che ci ha consegnato la Storia, concentrandosi su quelle parole così pe(n)sate, ora poetiche ora nude e crude. “Il dolore regale mi ha reso regina” asserisce, guardando dritta davanti a sé, con un incedere quasi impercettibile. Una delle caratteristiche del teatro del regista texano sta nelle espressioni facciali e la recitazione restituita dall’attrice francese si sposa al millimetro con questo. Il suo corpo si percepisce imprigionato in quell’abito nero da lutto, ricamato d’oro (costumi di Jacques Reynaud), con un collarino certo in linea coi tempi, che l’aiuta con la postura, ma che ben sottolinea la parte fisica a cui è stata ferita (è stata decapitata, ndr).

mary said whats she said
Ph Lucie Jansch

Siamo nel 1587, nel castello di Fotheringhay (nel nord dell’Inghilterra), alla vigilia dell’esecuzione. Tra i poteri del teatro, però, c’è la possibilità di effettuare dei salti immaginifici ed è così che, passo dopo passo, percepiamo Maria Stuarda in un limbo, anzi precisamente in un purgatorio suggeritoci prima dalla scena e poi da lei stessa. “Sono nella tempesta dei miei pensieri divisi”, confessa (e i fasci di luce bianca enfatizzano questa idea). Viene dritta davanti a noi con la dignità di chi va incontro al proprio destino; eppure tenta ancora l’impossibile, sfidando la Giustizia divina. “Consigliami, trova il modo di confortarmi” si appella in ultima istanza. Poi fa capolino una consapevolezza: “è pericoloso essere leali”. Gli occhi si fanno lucidi eppure mantiene una compostezza raggelante. La performance da padrona della scena della Huppert lascia pietrificati sulla sedia, ogni movimento del viso è tangibile, così come il vorticoso e disorientante muoversi delle pupille in un preciso istante. Quando arriva in proscenio sembra quasi che l’operazione di “ipnosi” sulla platea sia arrivata a compimento. Dopo che si è svelata, ancor più non si riesce a toglierle gli occhi di dosso.

In un sogno di visione ripensa al suo seguito, alle quattro marie (sono quattro bambine della sua età, tutte chiamate Maria, figlie di alcune delle più nobili famiglie scozzesi – Beaton, Seton, Fleming e Livingston – che l’accompagnarono nel viaggio verso la Francia a soli cinque anni). La voce infantile prende così il posto di quella arrabbiata e anche il movimento muta. Da gesti quasi da carillon si scioglie in una danza “come il falco che si insinua tra gli scogli” segnando idealmente il simbolo dell’infinito sulle tavole del palcoscenico.
In Mary Said What She Said c’è un’altra cifra di Wilson (espressa anche in ‘Hamltemachine‘ e non solo), ben in linea con questo monologo: la nostra protagonista ripete più volte delle frasi, quasi a voler rendere ancora più concreto il lucido delirio di Maria Stuarda.

Mary Said What She Said
Ph Lucie Jansch

“In questa luce non ho giudici terreni. Dove sono e a cosa serve la mia vita?”, si interroga con la voce rotta di chi ha visto spegnersi anche l’ultima fiammella di possibilità. Parole toccanti rendono la sovrana “solo” una madre: “Dio ha decretato che mio figlio non avesse il ricordo del viso della madre”. Lui, Giacomo (Giacomo VI di Scozia e I d’Inghilterra, fu il primo re britannico che riunì i domini scozzesi a quelli inglesi, nda), che era stato l’unico uomo ad averla sentita cantare. Dopo un interludio – anche questo di rarefatta bellezza – in un ideale ballo col proprio alter ego; in quest’ultima parte il movimento muta ancora tracciando delle diagonali sempre più ampie con un minimo comune denominatore: lo sguardo fiero e al contempo ferito. “Sono condannata a sapere chi sono e cosa sono in ogni momento” dice la donna. “Sono l’unica e sola Maria di Scozia e delle isole”, chiosa la sovrana.

Si dice che ogni replica sia diversa a teatro, anche perché dipende dal “respiro” del pubblico, ma senza che gli altri ce ne vogliano, Mary Said What She Said è stato un unicum (complice anche la magica atmosfera del Teatro della Pergola) che resterà impresso nella memoria di chi vi ha partecipato.

Mary Said What She Said: prossime date

Il monologo è in cartellone al Célestins di Lione dal 30 ottobre al 3 novembre 2019. Tanto più per gli appassionati di teatro, vi consigliamo la possibilità di valutare una trasferta ad hoc.

Firenze e Parigi per un teatro europeo

Mary Said What She Said è una produzione del Théâtre de la Ville di Parigi dove ha debuttato in prima mondiale, in coproduzione con il Wiener Festwochen di Vienna, il teatro fiorentino, l’Internationaal Theater di Amsterdam, il Thalia Theater di Amburgo e in collaborazione con EdM Productions.
Mary Said What She Said fa parte di un’articolata partnership tra il Teatro della Pergola e il Théâtre de la Ville di Parigi, che prende le mosse dalla condivisione dei valori di fondo che animano le due istituzioni, soprattutto per quanto riguarda il ruolo dei giovani: entrambe condividono un’idea e con essa un rischio culturale reale per costruire il vero teatro del futuro, un teatro che sia realmente europeo.
Il Théâtre de la Ville è il primo interlocutore internazionale della Pergola, all’interno di una rete internazionale composta, al momento, dal Teatre Lliure di Barcellona, il Watermill Center di New York, la Norwegian Theater Academy, l’Accademia ArtEZ di Amsterdam, con i quali si è avviato uno scambio di esperienze e progetti per i giovani, grazie a contatti ‘non convenzionali’ con maestri e professionisti, per aprire lo sguardo anche al di fuori dell’ambito teatrale. In questa chiave è da leggere la Carta 18-XXI, il manifesto di principi che mettono al centro quanti hanno compiuto o compiranno 18 anni nel Duemila, promossa dal Théâtre de la Ville, e condivisa con il Lliure, il São Luiz di Lisbona e altri teatri e strutture scientifiche d’Europa. La creazione di una simile rete di Paesi partner, che nel corso del 2020 saranno meglio individuati e coinvolti (tra Portogallo, Spagna, Grecia), trova una base solida a livello nazionale nelle strutture partner italiane con cui da anni la Pergola condivide finalità, progetti e realizzazioni: Ambra Jovinelli e Nuovo Teatro con Marco Balsamo a Roma, Franco Parenti con Andrée Ruth Shammah a Milano, Nuovo Teatro a Verona con Paolo Valerio, Napoli con Roberto Andò e Olimpico di Vicenza con Giancarlo Marinelli” (dalla nota ufficiale).

Ph Filippo Manzini

Il pomeriggio di venerdì 11 ottobre è stata presentato questo manifesto. A leggerlo 20 liceali, 10 provenienti dal Liceo Montaigne di Parigi (nell’ambito della stagione franco-italiana dell’Académie de Paris), 10 dal Liceo Linguistico Internazionale Machiavelli-Capponi di Firenze. Sono loro i “18-XXI”, i primi figli del Duemila che si sono cimentati anche in brani di Victor Hugo, Albert Camus, Giacomo Leopardi e Lorenzo de’ Medici, mentre i Nuovi, i diplomati della Scuola per Attori ‘Orazio Costa’ del Teatro della Pergola, hanno letto un passo del Manifesto di Ventotene. La nostra percezione è stata quella di una concreta possibilità per le nuove generazioni. La Carta 18-XXI è già stata sottoscritta da altissime personalità, tra cui l’astrofisico Jean Audouze, il Rettore dell’Académie de Paris e della regione accademica dell’Ile-de-France Gilles Pécout e quello dell’Università di Firenze Luigi Dei, il Presidente dell’Accademia di Belle Arti di Firenze Carlo Sisi, il neurobiologo Stefano Mancuso.

Una seconda tappa di questo lavoro di scambio tra le equipe sarà nell’autunno del 2020, quando Rhinceros e Ionesco Suite diretti da Demarcy-Mota arriveranno a Firenze, seguendo di poco Jungle Book‘ di Robert Wilson con le musiche originali delle CocoRosie (previsto in ottobre), per preparare la nascita effettiva della Compagnia prevista nel 2021, con uno spettacolo diretto da Emmanuel Demarcy-Mota.

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